Lijdia Čukovskaja descrive l’insinuarsi del terrore nella vita del comune cittadino sovietico
dibattuto tra una fede cieca nell’operato del Partito e l’intossicazione da menzogna.
Un racconto tratteggiato con infinito dolore – nel luogo e nel corso stesso degli eventi –
poco dopo l’arresto, processo e fucilazione il 18 febbraio 1938 del marito.
Fogli vergati in inchiostro violetto, nascosti presso un amico
e risorti fortunosamente dall’assedio di Leningrado.
«Tutta la differenza tra i periodi prima e dopo il 1937
consisteva nel modo in cui venivano condotte le perquisizioni:
nel ’38 ormai nessuno cercava qualche cosa o perdeva tempo ad esaminare carte.
Gli agenti non sapevano nemmeno che mestiere facesse colui che stavano per arrestare.»*
Nel racconto Sof’ia Petrovna è una madre il cui figlio Kolya
è arrestato e detenuto “… in campi lontani senza possibilità di corrispondenza”.
Un figlio che mai tornerà e dal quale riceverà dopo oltre un anno una lettera clandestina
con la rivelazione di percosse e torture subite per estorcere una qualsiasi confessione.
Ma di quella missiva dovrà disfarsi, bruciandola e calpestandola,
perchè LORO – come un’amica le consiglia – … non si ricordino anche di lei. (a.m. feb.’25)
*) Osip Ėmil’evič Mandel’štam: poeta russo vittima del Gulag 1938
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… Alik, asciugandosi il viso con la sciarpa, disse che secondo lui andare subito a Sverdlovsk non aveva alcun senso. Kolya, come nativo di Leningrado e da poco a Sverdlovsk molto probabilmente sarebbe stato portato a Leningrado. Non sarebbe stato meglio rimandare il viaggio a Sverdlovsk per un po’? E se lei e Kolya si fossero persi? Sofia Petrovna si tolse il cappotto e gettò sul tavolo il passaporto e il denaro. …
… Sofia Petrovna si sdraiò sul letto senza togliersi gli stivali. Pianse, seppellendo la testa nel cuscino, pianse a lungo, finché le guance e il cuscino non furono bagnati. Quando si alzò, il viso le faceva male e il cuore le batteva forte. Natasha e Alik bisbigliavano vicino alla finestra. “Ecco cosa abbiamo deciso io e Natasha Sergeyevna”, disse Alik, con i suoi occhi gentili che la guardavano con pietà da dietro gli occhiali. “Adesso va a letto e domattina andrai con calma dal Procuratore. …Alik se ne andò. Natasha voleva passare la notte da lei, ma Sofia Petrovna disse che non aveva bisogno di nulla, proprio nulla. Natasha la baciò e se ne andò. Anche lei sembrava aver pianto.
Sofia Petrovna si lavò il viso con acqua fredda, si spogliò e si sdraiò. … vide Kolya portato, sotto scorta, dall’investigatore, un militare prestante, con cinghie e tasche dappertutto. «Tu sei Nikolai Fomich Lipatov?», chiede il militare a Kolya. «Io sono Nikolai Fyodorovich Lipatov», risponde Kolya con dignità. L’investigatore rimprovera rudemente la scorta e presenta le sue scuse a Kolya. «Bah!», dice, «perché non l’ho riconosciuta subito? Lei è quel giovane ingegnere di cui ho visto il ritratto recentemente sulla Pravda! La prego di perdonarmi. Il fatto è che una persona con lo stesso cognome, Nikolai Fomich Lipatov, è un trotzkista, un assoldato fascista e un sabotatore… ».
… Verso le sei del mattino, quando i tram riprendevano a stridere sulla strada, Sofia Petrovna si addormentò. Fu svegliata da uno squillo che sembrava arrivarle dritto al cuore. Un telegramma? Ma non ci fu un secondo squillo. Sofia Petrovna si vestì, si lavò, bevve del tè e mise un po’ in ordine la stanza. Poi uscì in strada, nella mezza luce. … Dopo aver fatto qualche passo, Sofia Petrovna si fermò. Dove doveva andare? Alik aveva detto all’ufficio del Procuratore. Ma Sofia Petrovna non sapeva esattamente cosa fosse l’ufficio del Procuratore…
Così non andò all’ufficio del Procuratore, ma alla prigione, perché sapeva che la prigione si trovava in via Shpalernaya.
Fuori dai cancelli di ferro c’era una sentinella con un fucile. La piccola porta a fianco era chiusa. Sofia Petrovna la spinse con la mano e con il ginocchio, invano. Nessuna traccia di un avviso. Una sentinella le si avvicinò. «Alle nove iniziano a far entrare le persone», disse. Erano le otto meno venti. Sofia Petrovna decise di non tornare a casa. Camminava avanti e indietro fuori dalla prigione, allungando il collo verso l’alto e fissando le sbarre di ferro. …
… Ormai era completamente chiaro. In silenzio, d’un colpo, i lampioni del ponte Liteynyi si spensero. … Notò una grande folla di donne in mezzo alla strada. Alcune erano appoggiate al parapetto del terrapieno, altre camminavano lentamente lungo il marciapiede o sul selciato. …

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Lydia Čukovskaja – SOF’IA PETROVNA • North Western University Press – Evanston IL 1988
estratti dalle pgg. 45⁄47 <> trad. dall’inglese a.m.