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Maledetto sia Copernico

Al di là del­la tor­men­ta­ta tra­ma del piran­del­lia­no ‘Mat­tia Pascal’, 
qui (nel­la Pre­mes­sa IIª) si par­la di ‘rivo­lu­zio­ni’,
che poi sono sem­pre scon­vol­gi­men­ti, sia in sen­so fisi­co che metafisico.
Il pas­sag­gio da una con­di­zio­ne naïve 
ad una con­qui­sta razio­na­le del­la conoscenza,
quan­do anche con­du­ca un’umanità – gene­ral­men­te impaurita –
attra­ver­so luo­ghi comu­ni e rassicuranti,
si con­clu­de soli­ta­men­te con il poco impe­gna­ti­vo “… era meglio prima …” . 

C’è chi non accet­ta le nuo­ve idee per­ché non le capisce, 
chi non le vuol capi­re per inte­res­si pro­pri; chi è lega­to alle tradizioni
e chi è devo­to a chi quel­le tra­di­zio­ni gli ha tra­smes­so … e così via.
Ma qui è pro­prio un pre­te a cui toc­ca difen­de­re Copernico;
don Eli­gio Pel­le­gri­not­to, ami­co dell’autore e guar­dia­no di Boccamazza.
A lui è dele­ga­to il com­pi­to, appa­ren­te­men­te incongruo,
di ripor­ta­re la ‘rivo­lu­zio­ne’ ad un con­vin­cen­te gra­do di ‘rota­zio­ne’,
quat­tro seco­li dopo lo scon­quas­so copernicano.
Ma a ben vede­re egli è un pre­te biblio­te­ca­rio e per quan­to sbuffi 
«sot­to l’incarico che si è eroi­ca­men­te assun­to …», è evi­den­te­men­te istrui­to e consapevole.
Egli con­vin­ce l’Autore – già due vol­te “fu” – ad inne­sca­re il flashback 
che lo farà riper­cor­re­re le pro­prie vicen­de avve­nu­te sul­la «invi­si­bi­le trottolina …
un gra­nel­li­no di sab­bia … che gira e gira e gira … sen­za per­ve­nir mai a desti­no …». (a.m. V/’22)

:

Quan­do la Ter­ra non girava
…  — Eh, mio reve­ren­do ami­co, — gli dico io, sedu­to sul murel­lo, col men­to appog­gia­to al pomo del basto­ne, mentr’egli atten­de alle sue lat­tu­ghe. — Non mi par più tem­po, que­sto, di scri­ver libri, nep­pu­re per ischer­zo. In con­si­de­ra­zio­ne anche del­la let­te­ra­tu­ra, come per tut­to il resto, io deb­bo ripe­te­re il mio soli­to ritor­nel­lo: Male­det­to sia Copernico!
— Oh oh oh, che c’entra Coper­ni­co! — escla­ma don Eli­gio, levan­do­si su la vita, col vol­to info­ca­to sot­to il cap­pel­lac­cio di paglia.
— C’entra, don Eli­gio. Per­ché, quan­do la Ter­ra non gira­va… — E dàl­li! Ma se ha sem­pre girato!
— Non è vero. L’uomo non lo sape­va, e dun­que era come se non giras­se. Per tan­ti, anche ades­so, non gira.  L’ho det­to l’altro gior­no a un vec­chio con­ta­di­no, e sape­te come m’ha rispo­sto? ch’era una buo­na scu­sa per gli ubria­chi. Del resto, anche voi, scu­sa­te, non pote­te met­te­re in dub­bio che Gio­suè fer­mò il Sole. Ma lascia­mo star que­sto. Io dico che quan­do la Ter­ra non gira­va, e l’uomo, vesti­to da gre­co o da roma­no, vi face­va così bel­la figu­ra e così alta­men­te sen­ti­va di sé e tan­to si com­pia­ce­va del­la pro­pria digni­tà, cre­do bene che potes­se riu­sci­re accet­ta una nar­ra­zio­ne minu­ta e pie­na d’oziosi par­ti­co­la­ri. Si leg­ge o non si leg­ge in Quin­ti­lia­no, come voi m’avete inse­gna­to, che la sto­ria dove­va esser fat­ta per rac­con­ta­re e non per provare?

— Non nego, — rispon­de don Eli­gio, — ma è vero altre­sì che non si sono mai scrit­ti libri così minu­ti, anzi minu­zio­si in tut­ti i più ripo­sti par­ti­co­la­ri, come dac­ché, a vostro dire, la Ter­ra s’è mes­sa a girare. 

— E va bene! Il signor con­te si levò per tem­po, alle ore otto e mez­zo pre­ci­se… La signo­ra con­tes­sa indos­sò un abi­to lil­la con una ric­ca fio­ri­tu­ra di mer­let­ti alla gola… Tere­si­na si mori­va di fame… Lucre­zia spa­si­ma­va d’amore… Oh, san­to Dio! e che vole­te che me n’importi? Sia­mo o non sia­mo su un’invisibile trot­to­li­na, cui fa da fer­za un fil di sole, su un gra­nel­li­no di sab­bia impaz­zi­to che gira e gira e gira, sen­za saper per­ché, sen­za per­ve­nir mai a desti­no, come se ci pro­vas­se gusto a girar così, per far­ci sen­ti­re ora un po’ più di cal­do, ora un po’ più di fred­do, e per far­ci mori­re – spes­so con la coscien­za d’aver com­mes­so una seque­la di pic­co­le scioc­chez­ze – dopo cin­quan­ta o ses­san­ta giri? Coper­ni­co, Coper­ni­co, don Eli­gio mio, ha rovi­na­to l’umanità, irri­me­dia­bil­men­te. Ormai noi tut­ti ci sia­mo a poco a poco adat­ta­ti alla nuo­va con­ce­zio­ne dell’infinita nostra pic­co­lez­za, … .  Ave­te let­to di quel pic­co­lo disa­stro del­le Antil­le? Nien­te. La Ter­ra, pove­ri­na, stan­ca di gira­re, come vuo­le quel cano­ni­co polac­co, sen­za sco­po, ha avu­to un pic­co­lo moto d’impazienza, e ha sbuf­fa­to un po’ di fuo­co per una del­le tan­te sue boc­che. … .  Basta. Parec­chie miglia­ja di ver­muc­ci abbru­sto­li­ti. E tiria­mo innan­zi. Chi ne par­la più?

       Don Eli­gio Pel­le­gri­not­to mi fa però osser­va­re che, per quan­ti sfor­zi fac­cia­mo nel cru­de­le inten­to di strap­pa­re, di distrug­ge­re le illu­sio­ni che la prov­vi­da natu­ra ci ave­va crea­te a fin di bene, non ci riu­scia­mo. … Il nostro Comu­ne, in cer­te not­ti segna­te nel calen­da­rio, non fa accen­de­re i lam­pio­ni, e spes­so – se è nuvo­lo – ci lascia al bujo.
Il che vuol dire, in fon­do, che noi anche oggi cre­dia­mo che la luna non stia per altro nel cie­lo, che per far­ci lume di not­te, come il sole di gior­no, e le stel­le per offrir­ci un magni­fi­co spet­ta­co­lo. Sicu­ro. E dimen­ti­chia­mo spes­so e volen­tie­ri di esse­re ato­mi infi­ni­te­si­ma­li per rispet­tar­ci e ammi­rar­ci a vicen­da, e sia­mo capa­ci di azzuf­far­ci per un pez­zet­ti­no di ter­ra o di doler­ci di cer­te cose, che, ove fos­si­mo vera­men­te com­pe­ne­tra­ti di quel­lo che sia­mo, dovreb­be­ro parer­ci mise­rie incalcolabili. …

TANGENTE • 2015  –  archi­vio a.m.

 

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Lui­gi Piran­del­lo – IL FU MATTIA PASCAL 
                       pgg. 11–13 • da pdf LiberLiber

Pubblicato in S.T. DREAMs