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L’INCUBO (1945)

Con “L’in­cu­bo” (ad aria con­di­zio­na­ta) Hen­ry Miller,
da poco rien­tra­to nel Pae­se e dopo aver­lo per­cor­so per «die­ci­mi­la miglia» ,
si dedi­ca ad un ritrat­to piat­ta­men­te este­ti­co del­la sua Terra
« magni­fi­ca e ter­ri­fi­can­te » riem­pi­ta con il vuo­to spi­ri­tua­le del suo Popolo
«… ciur­ma vol­ga­re di dema­go­ghi, ciar­la­ta­ni, agi­ta­to­ri …».

Il rac­con­to non è solo un vita­le sfo­go autobiografico,
ma diven­ta un’e­spe­rien­za da con­di­vi­de­re con cia­scu­no di noi
che abbia viag­gia­to – alme­no un po’ – disordinatamente,
sen­za l’an­sia di appen­de­re ogni sera gli abi­ti in una stan­za d’albergo.

Dota­to di una pre­veg­gen­za stu­pe­fa­cen­te (sia­mo nel 1941-’42)
riguar­do alla guer­ra, al pae­sag­gio, all’am­bien­te ed al colo­re del­la pelle
Mil­ler si sen­te ingan­na­to dal­la sua stes­sa Ter­ra d’o­ri­gi­ne, dove:
« I cie­chi gui­da­no i cie­chi: è il siste­ma demo­cra­ti­co ».

L’a­ver vis­su­to 10 anni sul­l’al­tra spon­da dell’Oceano
gli inflig­ge la puni­zio­ne di un acu­tez­za bru­cian­te dei sensi.
L’in/utilitarismo del suo Pae­se lo ren­de furen­te a tal punto
da vomi­ta­re una quan­ti­tà di espres­sio­ni ed accuse
cia­scu­na del­le qua­li da sola scol­pi­sce una citazione
con­tro la clas­se poli­ti­ca, reli­gio­sa, impren­di­to­ria­le ed economica
ma anche con­tro l’i­gna­via e l’indolenza.
Una rab­bia incon­te­ni­bi­le che segna alme­no un quar­to del­le pagine.

Una Ter­ra dove Uomo e Natu­ra non han­no già più nul­la da dirsi
in anti­te­si ad un viag­gia­re di cono­scen­za, leg­ge­ro, inge­nuo e sobrio
e dove si per­ce­pi­sce che la cata­stro­fe sarà glo­ba­le e generalizzata,
clau­stro­fo­bi­ca, cer­to, ma cli­ma­tiz­za­ta.   (a.m. XI’23)

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     … Quan­to alla doman­da se sono sta­to ingan­na­to, delu­so… Direi che la rispo­sta è «si».  Ho avu­to la sfor­tu­na di nutrir­mi dei sogni e del­le visio­ni dei gran­di ame­ri­ca­ni: i poe­ti e i veg­gen­ti. Un’altra raz­za uma­na ha pre­val­so.  Que­sto mon­do in costru­zio­ne mi riem­pie d’orrore. L’ho visto ger­mi­na­re; pos­so leg­ger­lo come un libro stam­pa­to. Non è un mon­do in cui voglia vive­re. E un mon­do adat­to ai mono­ma­nia­ci osses­sio­na­ti dall’idea del pro­gres­so: ma di un fal­so pro­gres­so, un pro­gres­so che puz­za. É un mon­do ingom­bro d’oggetti inu­ti­li che uomi­ni e don­ne, per far­si sfrut­ta­re e avvi­li­re, impa­ra­no a con­si­de­ra­re uti­li.  Per il sogna­to­re i cui sogni non han­no un’utilità pra­ti­ca non c’é posto in que­sto mon­do. Qual­sia­si cosa non si pre­sti ad esse­re acqui­sta­ta e ven­du­ta, nel regno del­le cose, del­le idee, dei prin­ci­pi, dei sogni o del­le spe­ran­ze, è inter­det­ta. In que­sto mon­do il poe­ta è un ana­te­ma, il pen­sa­to­re uno scioc­co, l’ar­ti­sta un eva­so­re, il pro­fe­ta un criminale.

     Men­tre scri­ve­vo le pagi­ne che pre­ce­do­no è sta­ta dichia­ra­ta la guer­ra. V’è chi cre­de che una dichia­ra­zio­ne di guer­ra cam­bi tut­to. Fos­se vero! Potes­si­mo alme­no spe­ra­re in un deci­so, radi­ca­le muta­men­to, da cima a fon­do! I cam­bia­men­ti por­ta­ti dal­la guer­ra sono nien­te, però, a para­go­ne del­le sco­per­te e del­le inven­zio­ni d’un Edi­son. Pure, nel bene o nel male, la guer­ra può por­ta­re un cam­bia­men­to nel­lo spi­ri­to di un popo­lo. Ed è in que­sto che ho un vita­le inte­res­se: in un cam­bia­men­to di cuo­re, una conversione.

Ci tro­via­mo oggi in una situa­zio­ne che è defi­ni­ta «uno sta­to di emer­gen­za nazio­na­le».  Seb­be­ne i legi­sla­to­ri e i poli­ti­ci pos­sa­no con­cio­na­re a volon­tà, seb­be­ne la tri­bù dei gior­na­li­sti pos­sa far­ne­ti­ca­re e spar­ge­re l’isterismo, seb­be­ne la cric­ca dei mili­ta­ri pos­sa schia­maz­za­re, minac­cia­re e pren­de­re misu­re per tut­to ciò che non è di loro gra­di­men­to, il pri­va­to cit­ta­di­no, per il qua­le e dal qua­le la guer­ra è com­bat­tu­ta, dovreb­be tene­re la boc­ca chiu­sa.   Dato che io non ho il mini­mo rispet­to per que­sto atteg­gia­men­to, dato che esso non con­tri­bui­sce affat­to a pro­muo­ve­re la cau­sa del­la liber­tà, ho lascia­to inal­te­ra­te quel­le dichia­ra­zio­ni che pos­so­no cau­sa­re irri­ta­zio­ne e fasti­di anche in tem­po di pace. 

     Io cre­do, con John Stuart Mill, che  «uno sta­to che rim­pic­cio­li­sce i suoi uomi­ni, per­ché sia­no stru­men­ti più doci­li nel­le sue mani anche a sco­pi bene­fi­ci, sco­pri­rà che con uomi­ni pic­co­li non si può otte­ne­re alcu­na vera, gran­de con­qui­sta».  Vor­rei che le mie opi­nio­ni e le mie valu­ta­zio­ni si dimo­stras­se­ro erra­te: col sor­ge­re d’uno spi­ri­to nuo­vo e vita­le. Se occor­re una cala­mi­tà come la guer­ra per sve­gliar­ci e tra­sfor­mar­ci, ben ven­ga.    Vedia­mo, ora, se i disoc­cu­pa­ti tro­ve­ran­no lavo­ro e i pove­ri saran­no ade­gua­ta­men­te vesti­ti, allog­gia­ti e nutri­ti; vedia­mo se i ric­chi saran­no spo­glia­ti dei loro pri­vi­le­gi e costret­ti a sop­por­ta­re le pri­va­zio­ni e le sof­fe­ren­ze del comu­ne cit­ta­di­no; vedia­mo se tut­ti i lavo­ra­to­ri d’America, sen­za distin­zio­ni di clas­se, di capa­ci­tà o di uti­li­tà, potran­no esser per­sua­si ad accet­ta­re un comu­ne sala­rio; vedia­mo se il popo­lo potrà espri­me­re i suoi desi­de­ri diret­ta­men­te, sen­za l’intercessione, la distor­sio­ne e la mala­fe­de degli uomi­ni poli­ti­ci; vedia­mo se pos­sia­mo crea­re una vera demo­cra­zia in luo­go di quel­la fal­sa che ci han­no infi­ne spin­to a difen­de­re; vedia­mo se pos­sia­mo esse­re lea­li e giu­sti con la nostra gen­te, per non par­la­re del nemi­co, che indub­bia­men­te vinceremo. …

ZANZIBAR anno 2000 – archi­vio a.m.

 

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H. Mil­ler  –  L’in­cu­bo ad aria con­di­zio­na­ta  •  ed. EINAUDI 1962
                               Estrat­ti dal­le pgg. 22–24   <>    trad. V. Mantovani

Pubblicato in S.T. DREAMs