L’elogio della Follia – a cavallo tra Umanesimo e Rinascimento –
pur essendo una critica agli Ordini religiosi ed alle pratiche corruttive all’interno della Chiesa –
rimane una satira, nata per gioco, come Erasmo stesso afferma,
rifacendosi a storici esempi citati nel Prologo ed in dedica all’amico Tommaso Moro,
divenuta poi un’opera di successo nei secoli.
L’autore si ripromette di «lodar la pazzia … ma non da pazzo».
Qui (XLV proposizione) vengono richiamate quelle opinioni
che rientrano nelle capacità umane di appianare, mediante la pazzia, le durezze della vita
e di giustificare ciò che non è spiegabile semplicemente per la serenità del vivere.
Se l’oscuro ed il misterioso non ci vengono in qualche modo ingiunti attraverso le ‘dottrine’
(dai dotti, appunto), rimaniamo insicuri, incapaci di un libero pensiero.
Le scienze fisiche più volte e per molti secoli sono state coniugate in ‘credenze’ .
Le rivoluzioni ostacolate, i Galilei confinati, i Bruno arsivivi,
gli Innovatori esiliati o dichiarati ‘pazzi’.
Che ogni cosa ruotasse attorno alla Terra con moto circolare era sapienza comoda ed ‘ecclesiale’.
Ogni altra realtà – men che intuitiva – rientrava nella pura follia.
Non abbiamo fatto in tempo ad abituarci a Copernico ed a Newton
— se ancor oggi è il Sole, che ‘sorge’ e non viceversa —
che ci ritroviamo immersi in un’altra incommensurabile ‘follia’, nata agli inizi del ‘900:
la Cosmica Banda dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo. (a. m. III’22)
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ELOGIO DELLA FOLLIA – XLV
Ma è male, dicono, essere ingannati; c’è molto di peggio: non essere ingannati. Sono, infatti, proprio privi di buon senso quanti ripongono la felicità dell’uomo nelle cose stesse. Essa dipende dal nostro modo di vederle.
Anche nella Relatività einsteiniana, forse non la felicità, ma alcune misure o grandezze,
dipendono dal modo in cui si osservano o dal punto di vista
– cioé dal ‘sistema di riferimento’ – che si assume,
perchè, se le ‘regole’ (le leggi della fisica) sono uguali per tutti,
i luoghi dello spazio ed i tempi in cui gli eventi accadono non lo sono.
Infatti tale è l’oscurità e varietà delle cose umane che niente si può sapere con chiarezza, come giustamente affermano i miei Accademici, i meno presuntuosi tra i filosofi. Se poi qualcosa si può sapere, spesso abbiamo poco da rallegrarcene. L’animo umano, infine, è fatto in modo tale che la finzione lo domina molto più della verità. Chi ne volesse trovare una prova facilmente accessibile potrebbe andare in Chiesa a sentir prediche: qui, se il discorso si fa serio, tutti sonnecchiano, sbadigliano, si annoiano.
Ma se l’urlatore di turno (è stato un lapsus, volevo dire l’oratore), come spesso succede, prende le mosse da qualche storiella da vecchierelle, tutti si svegliano, si tirano su, stanno a sentire a bocca aperta. Del pari, se c’è un Santo leggendario e poetico – per esempio San Giorgio, o San Cristoforo, o Santa Barbara – lo vedrete venerare con molto maggiore pietà di San Pietro, e San Paolo, e dello stesso Gesù Cristo. Ma di questo, qui non è il luogo. Costa veramente poco conquistare la felicità illusoria che dicevo! Le cose vere, anche le meno rilevanti, come la grammatica, costano tanta fatica.
Ed eccola di seguito la ‘relatività umana’ senza fronzoli e matematica,
quella della follia e della normalità, che convivono; quella che ha accompagnato la storia dell’uomo,
non la storia della sua evoluzione, ma della sua vanità.
Un’opinione, invece, costa così poco e alla nostra felicità giova altrettanto, se non di più. Se, per esempio, uno si ciba di pesce in salamoia andato a male, di cui un altro neppure potrebbe sopportare il puzzo, mentre per lui sa d’ambrosia, di’ un po’, che cosa mai gl’impedisce di godersela? Al contrario, se a uno lo storione dà la nausea, che razza di piacere ne trarrà? Se una moglie decisamente brutta al marito sembra tale da poter gareggiare con la stessa Venere, non sarà forse come se fosse bella davvero? Se uno contempla ammirato una tavola impiastricciata di rosso e di giallo, persuaso di trovarsi davanti ad un dipinto di Apelle o di Zeusi (*), non sarà forse più felice di chi ha comprato a caro prezzo un’opera di quegli artisti per poi gustarla forse con minore passione?
Conosco un tale che si chiama come me, e che alla sposa novella donò alcune gemme false facendogliele credere, con la parlantina che aveva, non solo assolutamente vere, ma anche rare e di valore inestimabile.
Ditemi un po’, che differenza c’era per la fanciulla, visto che quei pezzetti di vetro rallegravano altrettanto i suoi occhi e il suo cuore, se conservava gelosamente presso di sé delle sciocchezzuole di nessun valore come se fossero chissà qual tesoro? Il marito, frattanto, evitava una spesa e godeva dell’illusione della moglie che gli era grata come se avesse ricevuto doni di gran pregio.
Che differenza pensate vi sia fra coloro che nella caverna di Platone contemplano le ombre e le immagini delle varie cose, senza desideri, paghi della propria condizione, e il sapiente che, uscito dalla caverna, vede le cose vere? Se il Micillo di Luciano (**) avesse potuto continuare a sognare in eterno il suo sogno di ricchezza, che motivo avrebbe avuto di desiderare un’altra felicità? La condizione dei folli, perciò, non differisce in nulla da quella dei savi, o, meglio, se in qualcosa differisce, è preferibile. Innanzitutto perché la loro felicità costa ben poco: solo un piccolo inganno di sé.
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(*) Pittori greci antichi, narrati da Plinio il Vecchio, vissuti tra il V ed il IV sec. a.C. Del secondo si ricorda leggendariamente, di una sua raffigurazione di grappoli d’uva eseguita su tavola, che ingannava anche i passerotti i quali venivano a beccarli.
(**) Micillo: personaggio di un dialogo di Luciano di Samòsata (odierna Siria, II sec. d.C.)
Erasmo da Rotterdam ELOGIO DELLA FOLLIA (1509 – 1511) • Ed. www.liberliber.it – prop. XLV pgg. 72–74
tutti i corsivi: a.m. III/’22