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DORIAN

Dorian Gray ormai fa par­te del nostro imma­gi­na­rio collettivo,
ad indi­ca­re il gio­co del dop­pio, il mito di Fau­st e dell’eterna giovinezza,
la bor­ghe­sia vit­to­ria­na con le sue ‘vit­ti­me’ ed i suoi ‘car­ne­fi­ci’,
una pro­pria mora­le – quel­la di Lord Hen­ry – taglien­te e sincopata,
le sue cita­zio­ni cini­che e barocche,
… ma tut­to il roman­zo ha anche a che fare con lo scor­re­re di un tempo
recal­ci­tran­te e sfug­gen­te (sia­mo nel 1890) come la sua definizione.
C’è, nel bra­no, un rico­no­sci­men­to del­la sperimentazione
anche per disci­pli­ne ‘uma­ni­sti­che’ e moder­ne qua­li la psi­co­lo­gia e la psicoanalisi
e for­se un po’ per l’antropologia lombrosiana.
C’è un’osservazione osses­si­va, un ping-pong temporale,
tra il viso di Dorian, nel­la sua raf­fi­gu­ra­zio­ne che ini­zia ad invecchiare
e ciò che egli stes­so ave­va affer­ma­to il gior­no in cui il qua­dro fu terminato.
C’è una sen­sa­zio­ne di ina­de­gua­tez­za nel­le defi­ni­zio­ni di ani­ma e cor­po, di spi­ri­to e materia;
lo stes­so dua­li­smo insor­mon­ta­bi­le che di li a pochi anni si con­so­li­de­rà ine­so­ra­bil­men­te nel­la scienza
tra la rigo­ro­sa com­pren­sio­ne dei feno­me­ni elet­tri­ci (l’onda elettromagnetica)
e quel­la anco­ra incer­ta del­le mani­fe­sta­zio­ni cor­pu­sco­la­ri.

Ciò che rima­ne è la meta­fi­si­ca del non-misurabile
fino all’impossibilità, per il let­to­re, di rica­va­re una com­piu­ta fisio­no­mia dei personaggi
i qua­li si allon­ta­na­no pri­ma che i loro vol­ti lasci­no un’impronta.  ( a.m. III’22 )

^***^

     Sì, quel ragaz­zo era pre­co­ce.   Sta­va già fal­cian­do le sue mes­si che era solo pri­ma­ve­ra. Il fre­mi­to e la pas­sio­ne gio­va­ni­li era­no in lui ed egli comin­cia­va ad aver­ne consapevolezza.
Osser­var­lo era una cosa deli­zio­sa. Con il suo bel viso e la sua bel­la ani­ma era qual­co­sa a cui non si pote­va nega­re ammi­ra­zio­ne.   Non impor­ta­va come ogni cosa sareb­be poi fini­ta, o desti­na­ta a fini­re. Era simi­le a una di quel­le gra­zio­se figu­re in una sfi­la­ta o sul pal­co, le cui gio­ie appa­io­no lon­ta­ne da noi, ma i cui dolo­ri sti­mo­la­no il sen­so del­la bel­lez­za e le cui feri­te sono rose rosse.
Ani­ma e cor­po, cor­po e ani­ma, com’erano miste­rio­si! Ani­ma­li­tà nell’anima e toc­chi di spi­ri­tua­li­tà nel cor­po. I sen­si pote­va­no affi­nar­si e l’intelletto degradarsi.
Chi pote­va dire dove fini­va l’impulso car­na­le o dove ini­zia­va l’impeto fisi­co? Com’erano arbi­tra­rie le defi­ni­zio­ni degli psi­co­lo­gi doz­zi­na­li! Eppu­re, quan­to era dif­fi­ci­le deci­de­re tra le affer­ma­zio­ni del­le varie scuo­le! É l’anima un’ombra che dimo­ra in casa del pec­ca­to? oppu­re il cor­po è real­men­te nell’anima, come pen­sa­va Gior­da­no Bruno?
La sepa­ra­zio­ne tra spi­ri­to e mate­ria è un miste­ro, come la loro unio­ne è ugual­men­te misteriosa.
Si chie­se se mai arri­ve­re­mo a fare del­la psi­co­lo­gia una scien­za così che ogni stil­la di vita ci sia rive­la­ta. Al suo sta­dio attua­le, gli uomi­ni com­pren­do­no sem­pre male se stes­si e rara­men­te com­pren­do­no gli altri. L’esperienza non ave­va alcun valo­re eti­co. Altro non era che il nome dato dagli uomi­ni ai pro­pri erro­ri. I mora­li­sti – di nor­ma – era­no soli­ti con­si­de­rar­la come for­ma una di moni­to; le veni­va rico­no­sciu­ta una cer­ta effi­ca­cia eti­ca nel­la for­ma­zio­ne del carat­te­re, l’avevano esal­ta­ta come indi­ce del­la via da segui­re e moni­to per ciò che vale evi­ta­re; ma non c’era alcu­na for­za motri­ce nell’esperienza; come cau­sa atti­va la sua rile­van­za era scar­sa quan­to quel­la del­la stes­sa coscien­za. Tut­to ciò che essa real­men­te dimo­stra­va era che il nostro futu­ro sareb­be come il nostro pas­sa­to e che il pec­ca­to com­mes­so una vol­ta, con ripu­gnan­za, l’avremmo poi com­mes­so più vol­te e con gioia.
Gli sem­bra­va chia­ro che il meto­do spe­ri­men­ta­le era l’unico per cui si potes­se arri­va­re a un’analisi scien­ti­fi­ca del­le pas­sio­ni e Dorian Gray era sicu­ra­men­te un sog­get­to che pare­va fat­to appo­sta e che pro­met­te­va abbon­dan­ti e frut­tuo­si risul­ta­ti. Il suo fol­le amo­re improv­vi­so per Sybil Vane era un feno­me­no psi­co­lo­gi­co di non tra­scu­ra­bi­le interesse.

Ma più che una spe­ri­men­ta­zio­ne pare una vivisezione,
che vor­reb­be esse­re rigo­ro­sa e chi­rur­gi­ca men­tre è solo speculativa.
Ciò che rima­ne è il peren­ne dua­li­smo, irri­sol­to e la spe­cu­la­ri­tà di com­por­ta­men­ti ambigui
di cui per­ce­pia­mo le con­se­guen­ze di vol­ta in vol­ta in noi o negli altri.
Anche il mon­do micro­fi­si­co, come ci è con­ces­so cono­scer­lo ancor oggi
man­tie­ne un com­por­ta­men­to dua­le ed indeterminato
del qua­le pos­sia­mo coglie­re solo un aspet­to per volta.

     Sen­za dub­bio la curio­si­tà c’entrava mol­to; curio­si­tà e desi­de­rio di espe­rien­ze nuo­ve; tut­ta­via non era una pas­sio­ne sem­pli­ce, tutt’altro, era mol­to com­ples­sa. Cosa ci fos­se in essa del puro istin­to sen­sua­le di un ado­le­scen­te, tra­sfor­ma­ta dal pro­ces­so imma­gi­na­ti­vo, era dive­nu­to qual­co­sa che sem­bra­va al gio­va­ne stes­so esse­re lon­ta­no dai sen­si e pro­prio per que­sto moti­vo, ancor più pericoloso.
Le pas­sio­ni dal­le qua­li con più faci­li­tà ci auto-assol­via­mo sono quel­le che eser­ci­ta­no su noi la tiran­nia mag­gio­re. I moti­vi più ele­men­ta­ri per cui fac­cia­mo ciò, sono quel­li del­la cui natu­ra sia­mo con­sa­pe­vo­li. Soven­te avvie­ne che men­tre cre­dia­mo di sta­re spe­ri­men­tan­do sugli altri stia­mo in real­tà spe­ri­men­tan­do su noi stessi.
     Lord Hen­ry sta­va sedu­to, sognan­do di que­ste cose, quan­do sen­tì bus­sa­re e il suo ser­vi­to­re gli ricor­dò che era tem­po di vestir­si per il pran­zo. Si alzò e guar­dò fuo­ri, in stra­da. Il calar del sole ave­va tra­mu­ta­to in oro e scar­lat­to le fine­stre supe­rio­ri del­la casa di fron­te; i vetri era­no incan­de­scen­ti come lastre di metal­lo roven­te. Più in alto il cie­lo era come una rosa sfiorita.
Pen­sò al suo gio­va­ne ami­co e alla sua vita color ros­so fuo­co e si chie­se come tut­to que­sto sareb­be anda­to a fini­re. Tor­nan­do a casa intor­no a mez­za­not­te e mez­zo, vide un tele­gram­ma sul­la tavo­la del vesti­bo­lo. L’aprì: era di Dorian Gray e gli annun­cia­va il suo fidan­za­men­to con Sybil Vane.

Mondy_   archi­vio a.m. 2018

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OSCAR WILDE The Pic­tu­re of Dorian Gray Cap. IV – ed. Castle Press – Lon­don 1948 – pgg. 71–73    –   trad. & cor­si­vi:  a.m. –  III ’22

 

Pubblicato in S.T. DREAMs