Con “L’incubo” (ad aria condizionata) Henry Miller,
da poco rientrato nel Paese e dopo averlo percorso per «diecimila miglia» ,
si dedica ad un ritratto piattamente estetico della sua Terra
— « magnifica e terrificante » — riempita con il vuoto spirituale del suo Popolo
«… ciurma volgare di demagoghi, ciarlatani, agitatori …».
Il racconto non è solo un vitale sfogo autobiografico,
ma diventa un’esperienza da condividere con ciascuno di noi
che abbia viaggiato – almeno un po’ – disordinatamente,
senza l’ansia di appendere ogni sera gli abiti in una stanza d’albergo.
Dotato di una preveggenza stupefacente (siamo nel 1941-’42)
riguardo alla guerra, al paesaggio, all’ambiente ed al colore della pelle
Miller si sente ingannato dalla sua stessa Terra d’origine, dove:
« I ciechi guidano i ciechi: è il sistema democratico ».
L’aver vissuto 10 anni sull’altra sponda dell’Oceano
gli infligge la punizione di un acutezza bruciante dei sensi.
L’in/utilitarismo del suo Paese lo rende furente a tal punto
da vomitare una quantità di espressioni ed accuse
ciascuna delle quali da sola scolpisce una citazione
contro la classe politica, religiosa, imprenditoriale ed economica
ma anche contro l’ignavia e l’indolenza.
Una rabbia incontenibile che segna almeno un quarto delle pagine.
Una Terra dove Uomo e Natura non hanno già più nulla da dirsi
— in antitesi ad un viaggiare di conoscenza, leggero, ingenuo e sobrio —
e dove si percepisce che la catastrofe sarà globale e generalizzata,
claustrofobica, certo, ma climatizzata. (a.m. XI’23)
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… Quanto alla domanda se sono stato ingannato, deluso… Direi che la risposta è «si». Ho avuto la sfortuna di nutrirmi dei sogni e delle visioni dei grandi americani: i poeti e i veggenti. Un’altra razza umana ha prevalso. Questo mondo in costruzione mi riempie d’orrore. L’ho visto germinare; posso leggerlo come un libro stampato. Non è un mondo in cui voglia vivere. E un mondo adatto ai monomaniaci ossessionati dall’idea del progresso: ma di un falso progresso, un progresso che puzza. É un mondo ingombro d’oggetti inutili che uomini e donne, per farsi sfruttare e avvilire, imparano a considerare utili. Per il sognatore i cui sogni non hanno un’utilità pratica non c’é posto in questo mondo. Qualsiasi cosa non si presti ad essere acquistata e venduta, nel regno delle cose, delle idee, dei principi, dei sogni o delle speranze, è interdetta. In questo mondo il poeta è un anatema, il pensatore uno sciocco, l’artista un evasore, il profeta un criminale.
Mentre scrivevo le pagine che precedono è stata dichiarata la guerra. V’è chi crede che una dichiarazione di guerra cambi tutto. Fosse vero! Potessimo almeno sperare in un deciso, radicale mutamento, da cima a fondo! I cambiamenti portati dalla guerra sono niente, però, a paragone delle scoperte e delle invenzioni d’un Edison. Pure, nel bene o nel male, la guerra può portare un cambiamento nello spirito di un popolo. Ed è in questo che ho un vitale interesse: in un cambiamento di cuore, una conversione.
Ci troviamo oggi in una situazione che è definita «uno stato di emergenza nazionale». Sebbene i legislatori e i politici possano concionare a volontà, sebbene la tribù dei giornalisti possa farneticare e spargere l’isterismo, sebbene la cricca dei militari possa schiamazzare, minacciare e prendere misure per tutto ciò che non è di loro gradimento, il privato cittadino, per il quale e dal quale la guerra è combattuta, dovrebbe tenere la bocca chiusa. Dato che io non ho il minimo rispetto per questo atteggiamento, dato che esso non contribuisce affatto a promuovere la causa della libertà, ho lasciato inalterate quelle dichiarazioni che possono causare irritazione e fastidi anche in tempo di pace.
Io credo, con John Stuart Mill, che «uno stato che rimpicciolisce i suoi uomini, perché siano strumenti più docili nelle sue mani anche a scopi benefici, scoprirà che con uomini piccoli non si può ottenere alcuna vera, grande conquista». Vorrei che le mie opinioni e le mie valutazioni si dimostrassero errate: col sorgere d’uno spirito nuovo e vitale. Se occorre una calamità come la guerra per svegliarci e trasformarci, ben venga. Vediamo, ora, se i disoccupati troveranno lavoro e i poveri saranno adeguatamente vestiti, alloggiati e nutriti; vediamo se i ricchi saranno spogliati dei loro privilegi e costretti a sopportare le privazioni e le sofferenze del comune cittadino; vediamo se tutti i lavoratori d’America, senza distinzioni di classe, di capacità o di utilità, potranno esser persuasi ad accettare un comune salario; vediamo se il popolo potrà esprimere i suoi desideri direttamente, senza l’intercessione, la distorsione e la malafede degli uomini politici; vediamo se possiamo creare una vera democrazia in luogo di quella falsa che ci hanno infine spinto a difendere; vediamo se possiamo essere leali e giusti con la nostra gente, per non parlare del nemico, che indubbiamente vinceremo. …
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H. Miller – L’incubo ad aria condizionata • ed. EINAUDI 1962
Estratti dalle pgg. 22–24 <> trad. V. Mantovani