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TI HO VISTO

Le paro­le di Cal­vi­no sono immagini;
ogni let­to­re ne visua­liz­za una per­so­na­le, acco­stan­do i det­ta­gli narrati
oppu­re ria­ni­man­do­ne una, asso­pi­ta nel­la pro­pria memoria,
come a sve­la­men­to di un affre­sco sopra una gran­de parete.
Quel­le gene­ra­te dal­le Cosmi­co­mi­che sono imma­gi­ni per paradigmi:
quel­lo fan­ta­scien­ti­fi­co e quel­lo giocoso.

La teo­ria scien­ti­fi­ca del­la qua­le l’au­to­re di vol­ta in vol­ta svol­ge il filo
è sem­pre fede­le e costan­te­men­te rie­vo­ca­ta sul­lo sfondo
men­tre il viag­gio fan­ta­sti­co in cui ci tra­sci­na è sem­pre nuo­vo, para­dos­sa­le e ‘uma­no’.
Pare che il palin­dro­mo fol­let­to Qfw­fq par­li con per­so­nag­gi del racconto
come ad una pla­tea atten­ta sedu­ta davan­ti a lui
men­tre vez­zeg­gia il lettore;
pare che dica del­le ovvie­tà con­di­te a minu­zie frettolose
e sono inve­ce sem­pre det­ta­gli pun­tua­li, neces­sa­ri e sorprendenti.

Qui si rac­con­ta come tut­to ciò che osserviamo
sia ine­vi­ta­bil­men­te una imma­gi­ne risa­len­te al passato,
tan­to più remo­to quan­to più l’oggetto osser­va­to è distan­te da noi (*).
Costrui­re su ciò una ‘cro­na­ca’ e tuf­far­la nel­l’og­gi così da ren­der­la familiare
è una inven­zio­ne for­mi­da­bi­le e dai risvol­ti esilaranti.

Cosic­ché si per­ce­pi­sce come e quan­to lo spa­zio ed il tem­po sia­no interconnessi
tan­to da dover – sor­pren­den­te­men­te – defi­ni­re le distan­ze … attra­ver­so uni­tà tem­po­ra­li  [a.m.-X’23].

°°°°

       Una not­te osser­va­vo come al soli­to il cie­lo col mio tele­sco­pio. Notai che da una galas­sia lon­ta­na cen­to milio­ni d’anni luce spor­ge­va un car­tel­lo. C’era scrit­to: TI HO VISTO. Feci rapi­da­men­te il cal­co­lo: la luce del­la galas­sia ave­va impie­ga­to cen­to milio­ni d’anni a rag­giun­ger­mi e sic­co­me di las­sù vede­va­no quel­lo che suc­ce­de­va qui con cen­to milio­ni d’anni di ritar­do, il momen­to in cui mi ave­va­no visto dove­va risa­li­re a due­cen­to milio­ni d’anni fa.
Pri­ma anco­ra di con­trol­la­re sul­la mia agen­da per sape­re cosa ave­vo fat­to quel gior­no, ero sta­to pre­so da un pre­sen­ti­men­to agghiac­cian­te: pro­prio due­cen­to milio­ni d’anni pri­ma, né un gior­no di più né un gior­no di meno, m’era suc­ces­so qual­co­sa che ave­vo sem­pre cer­ca­to di nascondere. …

Natu­ral­men­te ero in gra­do di spie­ga­re tut­to quel che era suc­ces­so, e come era potu­to suc­ce­de­re, e di ren­de­re com­pren­si­bi­le, se non del tut­to giu­sti­fi­ca­bi­le, il mio modo d’agire. Pen­sai di rispon­de­re subi­to anch’io con un car­tel­lo, impie­gan­do una for­mu­la difen­si­va come LASCIATE CHE VI SPIEGHI …
… Il tut­to avreb­be pre­so altri due­cen­to milio­ni d’anni, anzi qual­che milio­ne d’anni in più, per­ché men­tre le imma­gi­ni anda­va­no e veni­va­no con la velo­ci­tà del­la luce, le galas­sie con­ti­nua­va­no ad allon­ta­nar­si tra loro e così anche quel­la costel­la­zio­ne ades­so non era già più dove la vede­vo io, ma un po’ più in là e l’im­ma­gi­ne del mio car­tel­lo dove­va cor­rer­le dietro.

Insom­ma, era un siste­ma len­to, che m’avrebbe obbli­ga­to a ridi­scu­te­re, dopo più di quat­tro­cen­to milio­ni d’anni da quand’erano suc­ces­si, avve­ni­men­ti che avrei volu­to far dimen­ti­ca­re nel più bre­ve tem­po possibile.
La miglio­re linea di con­dot­ta che mi si offri­va era far fin­ta di nien­te, mini­miz­za­re la por­ta­ta di quel che pote­va­no esser venu­ti a sapere. …

     In que­sto sta­to d’animo, con­ti­nua­vo ogni not­te a guar­da­re intor­no col tele­sco­pio. E dopo due not­ti mi accor­si che anche su una galas­sia distan­te cen­to milio­ni d’anni e un gior­no-luce ave­va­no mes­so il car­tel­lo TI HO VISTO. Non c’era dub­bio che anche loro si rife­ri­va­no a quel­la vol­ta là: ciò che io ave­vo sem­pre cer­ca­to di nascon­de­re era sta­to sco­per­to non da un cor­po cele­ste sola­men­te ma anche da un altro, situa­to in tutt’altra zona del­lo spa­zio. E da altri anco­ra: nel­le not­ti che segui­ro­no con­ti­nuai a vede­re nuo­vi car­tel­li col TI HO VISTO innal­zar­si da sem­pre nuo­ve costel­la­zio­ni. Cal­co­lan­do gli anni-luce risul­ta­va che la vol­ta che m’avevano visto era sem­pre quel­la.  A ognu­no dei TI HO VISTO rispon­de­vo con car­tel­li impron­ta­ti a sde­gno­sa indif­fe­ren­za, come AH SI? PIACERE oppu­re M’IMPORTA ASSAI, o anche a una stra­fot­ten­za qua­si pro­vo­ca­to­ria, come TANT PISS, oppu­re CUCÚ, SON IO!, ma sem­pre tenen­do­mi sul­le mie.

A un cer­to pun­to le più lon­ta­ne galas­sie che m’avevano visto (o che ave­va­no visto il car­tel­lo TI HO VISTO d’una galas­sia più vici­na a noi, o il car­tel­lo «HO VISTO il ‘TI HO VISTO’» di una un po’ più in là) sareb­be­ro giun­te alla soglia dei die­ci miliar­di d’anni-luce, pas­sa­ta la qua­le si sareb­be­ro allon­ta­na­te a 300˙000 chi­lo­me­tri al secon­do, cioè più velo­ci del­la luce, e nes­su­na imma­gi­ne avreb­be potu­to più raggiungerle. …

vil­la Ber­ta­ni •1994 – archi­vio a.m.

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(*) Il rife­ri­men­to è all’e­span­sio­ne dell’universo
ed alla sua acce­le­ra­zio­ne riscon­tra­ta da E. Hub­ble nel 1929

Ita­lo Cal­vi­no – Le Cosmi­co­mi­che   •   Einau­di 1965      –    estrat­ti dal­le pgg. 151 – 155          •••   cor­si­vi a.m.

 

Pubblicato in S.T. DREAMs