Nicolas Bouvier, viaggiatore per vocazione sia nel corpo che nella mente,
letterato, cocciuto testimone di ogni sillaba vergata,
con la capacità di rendere visiva ogni parola scritta,
quasi un mistico, in questo piccolo libro che pare esso stesso un viaggio
non solo nell’isola (Ceylon) ma pure nell’isolamento (quello proprio e della proria condizione …).
Egli stesso afferma : “ Non si viaggia per addobbarsi di esotismo e di aneddoti …,
ma perchè la strada ci spiumi, ci strigli, ci prosciughi, …”
Un viaggio ‘lisergico’ e catartico, necessario ed afoso,
una permanenza incombente ed ineluttabile, con rivelazioni tutt’altro che banali
anche per ciascuno di noi e delle nostre esistenze: non di rapida lettura, quindi.
Vi si ritrovano azioni e proposizioni che si dilatano in modo estenuante;
che si corrompono incalzate da una temperatura
in cui anche i dettagli e le minuzie si fermano a riposare per sottrarsi alla calura
per poi arretrare, senza aspettarsi di divenire oggetto di attenzione
se non altrove o in ere successive.
Qui il II° principio della Termodinamica, – per il quale l’energia di qualunque processo
irreversibilmente degrada in calore e segna univocamente la freccia del tempo –
accelera climaticamente nella parte ‘termo’, per poi affievolirsi in quella ‘dinamica’,
così da permettere all’Entropia di rispettare le sue naturali esigenze di crescita.
Questo è un modo con il quale il ‘disordine’
ritrova un’armonia ed un dialogo con la vita, o meglio, con l’esistenza
escogitando nuove forme di equilibrio, sempre instabile, mutevole e sospeso. (a.m. IV/’22)
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BOUVIER
… La città aveva comunque la sua politica, verbosa e ridondante, due o tre partiti oltre a quelli dell’Ombrello e dell’Elefante e perfino un’estrema sinistra che teneva le sue assise nel retrobottega dell’Oriental Patissery.
Il fatto che per via di 5° di latitudine Nord, 77,5° di longitudine est e 37°C all’ombra, un negozio che offre soltanto delle frittelle al curry più leggere dell’aria ritenga ancora utile ricordare di essere «Orientale», merita una riflessione. A Tours, a Brema e a Brescia è possibile immaginare una «calzoleria Occidentale» o un’insegna tipo «Alle marmellate dell’Occidente» ? No, non si può: sembrerebbe strano, magari un po’ disfattista. Meno, senz’altro se Attila, Tamerlano o Solimano fossero riusciti nelle loro imprese ed avessero conquistato l’Europa.
Essendo avvenuto il contrario, abbiamo imposto le nostre usanze, le nostre misure, i nostri meridiani, le nostre divinità, abbiamo manipolato i mercati ed annesso a nostro esclusivo profitto la geografia. Il Cristo e la Cannoniera, l’alcool e l’aspersorio. Per alcuni secoli l’occidente cristiano è stato il centro, il pianeta e la periferia dell’Europa. Non si designa il centro, si definiscono in rapporto ad esso i diversi punti della periferia. Oriental Patissery e sia! Ma l’abitudine è una così buona consigliera che il cenacolo che vi si riuniva non trovava niente da ridire su quell’aggettivo subalterno.
Era una manciata di universitari ultranazionalisti che avevano ripreso il Sarong per protestare contro «l’alienazione Occidentale», si ferivano una o due volte al lustro fabbricando una bomba artigianale di cui erano le uniche vittime e si ritrovavano là tutte le sere per la loro partita a whist. Erano anche gli unici della città che consideravano i miei vagabondaggi con indulgenza e mi interrogavano su quello che avevo visto. Andavo molte volte a trovarli per chieder loro a che cosa, in quella fornace, potevano ancora aggrappare le loro convinzioni. A nulla o quasi: niente proletariato industriale, niente slums né coolies*. Non una miseria lungimirante ma una schiera di piccoli individui che vivono appena al di sopra dell’indigenza, in una rispettabilità mesta e consunta che non li spingeva affatto alla militanza. Apostoli senza discepoli, il loro programma era rimpiazzato da una virtù un po’ in disarmo e da una capacità stupefacente ad argomentare all’infinito, nella calura, ad arrabbiarsi in dispute dottrinali con i partiti fratelli non essendo né stalinisti, ne maoisti, né castristi, bensì troskisti da più di vent’anni e — all’epoca — sicuramente gli ultimi. Le ragioni di questa scelta sembravano nel frattempo aver abbandonato la loro memoria; tuttavia si ostinavano e ci tenevano molto, era evidente, a questa dottrina oramai quasi dimenticata.
Avevo l’impressione che nella ideologia come nel commercio, gli avessimo ancora rifilato della vecchie scorte di magazzino e che, se si attaccavano così tenacemente a quella merce scaduta era perchè, resi accorti dall’esperienza, erano perlomeno sicuri che non saremo andati a riprendergliela.
Trafelati dopo qualche anno di attivismo, di slancio e qualche corteo vociferante e memorabile, li sorprendevo insomma in crisi d’entusiasmo. Qui dove il clima spesso ha la meglio sulla cupidità, il minimo sbuffo di altruismo lascia evidentemente sfiancati. Fa troppo caldo per essere buoni a lungo.
« É nel nord », mi dicevano per scusarsi « che la rivoluzione proletaria e la lotta di classe (proposizioni che apparivano qui decisamente boreali) sono state inventate ». E – sono io che avrei dovuto scusarmi – da quella nobile Intellighenzia che si soffiava sulle dita prima di scrivere, per esempio, «il ceppo d’acacia asciutto risuona come porcellana, più leggero di un’aringa gelata».
Come avevano ragione: Engels aveva una borsa dell’acqua calda, le bozze del Capitale sono state corrette con i mezzi guanti, l’inchiostro di Trotski gelava dentro il calamaio; tutti questi fantasmi venuti dal freddo perdono qui la loro sostanza, sciogliendosi come neve sulla stufa. Perfino il fulmicotone, che in questo clima esplode spontaneamente prima ancora che lo si inneschi. Mi sembrava che il bolscevismo equatoriale fosse partito male, che il marxismo canicolare avesse il piombo sotto le ali e che la vocazione dei miei interlocutori fosse più che problematica.
Nella sottomissione come nella rivolta, li avevamo imbrogliati sul peso, avevamo truccato la ricetta, imposto il nostro menù e tenuto in mano le carte migliori. Tra tutti i commerci, quello delle ideologie – che ignora il cliente – è il più dannoso, per tutti, perchè sminuiamo noi stessi quando obblighiamo gli altri ad imitarci. …
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(*) Termine di origine indiana. Indicava in epoca coloniale i lavoratotri asiatici indigeni salariati.
Nicolas Bouvier IL PESCE SCORPIONE 1981 – pgg 59–62
Giampiero Casagrande Editore – Trad. Beppe Sebaste v Tutti i corsivi a.m.