Menu Chiudi

BOUVIER ’81

Nico­las Bou­vier, viag­gia­to­re per voca­zio­ne sia nel cor­po che nel­la mente, 
let­te­ra­to, coc­ciu­to testi­mo­ne di ogni sil­la­ba vergata, 
con la capa­ci­tà di ren­de­re visi­va ogni paro­la scritta, 
qua­si un misti­co, in que­sto pic­co­lo libro che pare esso stes­so un viaggio 
non solo nell’isola (Cey­lon) ma pure nell’isolamento (quel­lo pro­prio e del­la pro­ria condizione …). 
Egli stes­so affer­ma : “ Non si viag­gia per addob­bar­si di eso­ti­smo e di aneddoti …, 
ma per­chè la stra­da ci spiu­mi, ci stri­gli, ci prosciughi, …” 
Un viag­gio ‘liser­gi­co’ e catar­ti­co, neces­sa­rio ed afoso, 
una per­ma­nen­za incom­ben­te ed ine­lut­ta­bi­le, con rive­la­zio­ni tutt’altro che banali
anche per cia­scu­no di noi e del­le nostre esi­sten­ze: non di rapi­da let­tu­ra, quindi.
Vi si ritro­va­no azio­ni e pro­po­si­zio­ni che si dila­ta­no in modo estenuante;
che si cor­rom­po­no incal­za­te da una temperatura 
in cui anche i det­ta­gli e le minu­zie si fer­ma­no a ripo­sa­re per sot­trar­si alla calura 
per poi arre­tra­re, sen­za aspet­tar­si di dive­ni­re ogget­to di attenzione 
se non altro­ve o in ere successive. 
Qui il II° prin­ci­pio del­la Ter­mo­di­na­mi­ca, – per il qua­le l’energia di qua­lun­que processo
irre­ver­si­bil­men­te degra­da in calo­re e segna uni­vo­ca­men­te la frec­cia del tempo –
acce­le­ra cli­ma­ti­ca­men­te nel­la par­te ‘ter­mo’, per poi affie­vo­lir­si in quel­la ‘dina­mi­ca’,
così da per­met­te­re all’Entropia di rispet­ta­re le sue natu­ra­li esi­gen­ze di crescita.

Que­sto è un modo con il qua­le il ‘disor­di­ne’
ritro­va un’armonia ed un dia­lo­go con la vita, o meglio, con l’esistenza
esco­gi­tan­do nuo­ve for­me di equi­li­brio, sem­pre insta­bi­le, mute­vo­le e sospe­so.    (a.m. IV/’22)

 

Geru­sa­lem­me 1997   –  archi­vio  a.m.

·••·

BOUVIER

      … La cit­tà ave­va comun­que la sua poli­ti­ca, ver­bo­sa e ridon­dan­te, due o tre par­ti­ti oltre a quel­li dell’Ombrello e dell’Elefante e per­fi­no un’estrema sini­stra che tene­va le sue assi­se nel retro­bot­te­ga dell’Oriental Patissery. 

Il fat­to che per via di 5° di lati­tu­di­ne Nord, 77,5° di lon­gi­tu­di­ne est e 37°C all’ombra, un nego­zio che offre sol­tan­to del­le frit­tel­le al cur­ry più leg­ge­re dell’aria riten­ga anco­ra uti­le ricor­da­re di esse­re «Orien­ta­le», meri­ta una rifles­sio­ne. A Tours, a Bre­ma e a Bre­scia è pos­si­bi­le imma­gi­na­re una «cal­zo­le­ria Occi­den­ta­le» o un’insegna tipo «Alle mar­mel­la­te dell’Occidente» ? No, non si può: sem­bre­reb­be stra­no, maga­ri un po’ disfat­ti­sta.  Meno, senz’altro se Atti­la, Tamer­la­no o Soli­ma­no fos­se­ro riu­sci­ti nel­le loro impre­se ed aves­se­ro con­qui­sta­to l’Europa.

Essen­do avve­nu­to il con­tra­rio, abbia­mo impo­sto le nostre usan­ze, le nostre misu­re, i nostri meri­dia­ni, le nostre divi­ni­tà, abbia­mo mani­po­la­to i mer­ca­ti ed annes­so a nostro esclu­si­vo pro­fit­to la geo­gra­fia. Il Cri­sto e la Can­no­nie­ra, l’alcool e l’aspersorio.  Per alcu­ni seco­li l’occidente cri­stia­no è sta­to il cen­tro, il pia­ne­ta e la peri­fe­ria dell’Europa. Non si desi­gna il cen­tro, si defi­ni­sco­no in rap­por­to ad esso i diver­si pun­ti del­la peri­fe­ria. Orien­tal Patis­se­ry e sia!   Ma l’abitudine è una così buo­na con­si­glie­ra che il cena­co­lo che vi si riu­ni­va non tro­va­va nien­te da ridi­re su quell’aggettivo subalterno.

Era una man­cia­ta di uni­ver­si­ta­ri ultra­na­zio­na­li­sti che ave­va­no ripre­so il Sarong per pro­te­sta­re con­tro «l’alienazione Occi­den­ta­le», si feri­va­no una o due vol­te al lustro fab­bri­can­do una bom­ba arti­gia­na­le di cui era­no le uni­che vit­ti­me e si ritro­va­va­no là tut­te le sere per la loro par­ti­ta a whi­st. Era­no anche gli uni­ci del­la cit­tà che con­si­de­ra­va­no i miei vaga­bon­dag­gi con indul­gen­za e mi inter­ro­ga­va­no su quel­lo che ave­vo visto. Anda­vo mol­te vol­te a tro­var­li per chie­der loro a che cosa, in quel­la for­na­ce, pote­va­no anco­ra aggrap­pa­re le loro con­vin­zio­ni. A nul­la o qua­si: nien­te pro­le­ta­ria­to indu­stria­le, nien­te slums né coo­lies*. Non una mise­ria lun­gi­mi­ran­te ma una schie­ra di pic­co­li indi­vi­dui che vivo­no appe­na al di sopra dell’indigenza, in una rispet­ta­bi­li­tà mesta e con­sun­ta che non li spin­ge­va affat­to alla mili­tan­za. Apo­sto­li sen­za disce­po­li, il loro pro­gram­ma era rim­piaz­za­to da una vir­tù un po’ in disar­mo e da una capa­ci­tà stu­pe­fa­cen­te ad argo­men­ta­re all’infinito, nel­la calu­ra, ad arrab­biar­si in dispu­te dot­tri­na­li con i par­ti­ti fra­tel­li non essen­do né sta­li­ni­sti, ne maoi­sti, né castri­sti, ben­sì tro­ski­sti da più di vent’anni e — all’epoca — sicu­ra­men­te gli ulti­mi. Le ragio­ni di que­sta scel­ta sem­bra­va­no nel frat­tem­po aver abban­do­na­to la loro memo­ria; tut­ta­via si osti­na­va­no e ci tene­va­no mol­to, era evi­den­te, a que­sta dot­tri­na ora­mai qua­si dimenticata. 

Ave­vo l’impressione che nel­la ideo­lo­gia come nel com­mer­cio, gli aves­si­mo anco­ra rifi­la­to del­la vec­chie scor­te di magaz­zi­no e che, se si attac­ca­va­no così tena­ce­men­te a quel­la mer­ce sca­du­ta era per­chè, resi accor­ti dall’esperienza, era­no per­lo­me­no sicu­ri che non sare­mo anda­ti a riprendergliela.

Tra­fe­la­ti dopo qual­che anno di atti­vi­smo, di slan­cio e qual­che cor­teo voci­fe­ran­te e memo­ra­bi­le, li sor­pren­de­vo insom­ma in cri­si d’entusiasmo. Qui dove il cli­ma spes­so ha la meglio sul­la cupi­di­tà, il mini­mo sbuf­fo di altrui­smo lascia evi­den­te­men­te sfian­ca­ti. Fa trop­po cal­do per esse­re buo­ni a lungo. 

« É nel nord », mi dice­va­no per scu­sar­si « che la rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria e la lot­ta di clas­se (pro­po­si­zio­ni che appa­ri­va­no qui deci­sa­men­te borea­li) sono sta­te inven­ta­te ». E – sono io che avrei dovu­to scu­sar­mi – da quel­la nobi­le Intel­li­ghen­zia che si sof­fia­va sul­le dita pri­ma di scri­ve­re, per esem­pio, «il cep­po d’acacia asciut­to risuo­na come por­cel­la­na, più leg­ge­ro di un’aringa gelata».

Come ave­va­no ragio­ne: Engels ave­va una bor­sa dell’acqua cal­da, le boz­ze del Capi­ta­le sono sta­te cor­ret­te con i mez­zi guan­ti, l’inchiostro di Tro­tski gela­va den­tro il cala­ma­io; tut­ti que­sti fan­ta­smi venu­ti dal fred­do per­do­no qui la loro sostan­za, scio­glien­do­si come neve sul­la stu­fa.   Per­fi­no il ful­mi­co­to­ne, che in que­sto cli­ma esplo­de spon­ta­nea­men­te pri­ma anco­ra che lo si inne­schi. Mi sem­bra­va che il bol­sce­vi­smo equa­to­ria­le fos­se par­ti­to male, che il mar­xi­smo cani­co­la­re aves­se il piom­bo sot­to le ali e che la voca­zio­ne dei miei inter­lo­cu­to­ri fos­se più che problematica. 

Nel­la sot­to­mis­sio­ne come nel­la rivol­ta, li ave­va­mo imbro­glia­ti sul peso, ave­va­mo truc­ca­to la ricet­ta, impo­sto il nostro menù e tenu­to in mano le car­te miglio­ri. Tra tut­ti i com­mer­ci, quel­lo del­le ideo­lo­gie – che igno­ra il clien­te – è il più dan­no­so, per tut­ti, per­chè smi­nuia­mo noi stes­si quan­do obbli­ghia­mo gli altri ad imitarci. …

__________________________________

(*) Ter­mi­ne di ori­gi­ne india­na. Indi­ca­va in epo­ca colo­nia­le i lavo­ra­to­tri asia­ti­ci indi­ge­ni salariati.

Nico­las Bou­vier  IL PESCE SCORPIONE 1981 – pgg 59–62

Giam­pie­ro Casa­gran­de Edi­to­re     –     Trad. Bep­pe Seba­ste                       v              Tut­ti i cor­si­vi a.m.

 

 

Pubblicato in S.T. DREAMs